ANTONIA   ASSUNTA   PALADINO   BRANCACCI

Nacque a Scilla il 2 Febbraio 1920 da Rocco Paladino, imprenditore e commerciante, e da Adelaide Drommi, casalinga. Qui frequentò le scuole elementari e proseguì gli studi a Messina fino al II anno di Università; poi si trasferì a Torino dove, il 5 Luglio del 1943, conseguì la Laurea in Medicina e Chirurgia. Gli eventi storici di quell’anno (gli Americani erano sbarcati in Sicilia e le comunicazioni con il Sud venivano interrotte) non le consentirono di rientrare in famiglia e si fermò a Baldissero Torinese dove operò come medico e dove conobbe la poetessa Lea Luzzati Segre. Nel 1946 rientrò nella sua amatissima Scilla e qui esercitò la professione di medico dedicandosi, al contempo, alla politica. Si iscrisse al movimento dei laureati cattolici, FUCI, dimostrando attenzione per alcuni problemi sociali, quali la situazione della donna in Calabria ed una particolare sensibilità verso i più deboli. Si specializzò in psicologia clinica e collaborò con il centro medico psicopedagogico dell’ENPMF (Ente Nazionale per la Protezione Morale del Fanciullo) di cui fu direttrice. Insegnò anche presso i corsi di criminalità infantile, svolgendo la professione di medico e psicologo per ben 50 anni. Attivissima in campo sociale, nel 1952 venne eletta sindaco (il primo sindaco donna in Italia); la sua amministrazione durò solo 18 mesi, un periodo breve ma fecondo per Scilla. Riuscì, infatti, ad ottenere dei finanziamenti per la realizzazione di alcune opere pubbliche. Nel 1953 venne inaugurato il villaggio UNRRA, costruito con i fondi statunitensi; nel 1954 venne finanziata la ricostruzione della Chiesa Madre di Scilla distrutta dal terremoto del 1908. La notizia apparsa sui giornali, fu accolta con gioia dagli Scillesi a tal punto che le campane, inattive ormai da tanto tempo, suonarono a festa. Il 13 Giugno del 1954, la dottoressa Paladino donò a Scilla la statua in bronzo raffigurante “La Madonna del Mare” realizzata dallo scultore Alessandro Monteleone e collocata in una piccola grotta del castello, dove si riteneva che dimorassero le Sirene dello Stretto fra Scilla e Cariddi. Fu un grande evento di fede e di preghiera per la comunità scillese che, assieme alle autorità civili, accolse calorosamente Sua Eccellenza Monsignor Ferro mentre l’arciprete Don Santo Bergamo diede lettura del messaggio del Papa con la sua benedizione. Il 9/12/1952 la Dott.ssa Paladino lasciò la vita politica e la sua Scilla per trasferirsi a Pescara dove visse con le figlie e i nipoti. Ricevette l’onorificenza di Commendatore al merito della Repubblica. Di alte virtù morali, il percorso della sua vita fu segnato dalla guida spirituale di Padre Gaetano Catanoso, oggi Santo. Non dimenticò la sua terra natìa, continuò a comunicare con essa attraverso la poesia. Morì a Pescara nel 2008.

ALBA   E   TRAMONTO
Poesie

Edito dal cav. Giuseppe Piria, nostro concittadino e presentato a Scilla il 21-03-2005 dalla Prof.ssa Maria Antonietta Ciccone, è una silloge distinta in due sezioni: Ricordi e Stati d’animo.
Nelle liriche della prima sezione (quindici in tutto), i ricordi affiorano alla mente dell’autrice e si concretizzano in immagini chiare, nitide di un mondo, cose e persone, a lei caro.
Ora è un luogo ben preciso a cui la memoria ritorna, che evoca colori, profumi, forme, facendo rivivere l’infanzia e la giovinezza : «il verde fogliame dei limoneti | nuovi profumi di zagara | schiuma marina avvolge … l’aria affannosa di calore». ( da “Viaggiando verso il mio paese”).
“Dolce cala di mare | … reti sciorinate su sabbie roventi ”.

Cala di mare racchiusa
fra torreggianti rocce
da muschio ricoperte,
dove si spezza l’onda
e troneggiano gabbiani
                                                     (da “Dolce mia cala di mare”)

Ora sono i «bimbi al mare» che «imitano i pesci, | guizzano, saltano, affondano | … ridono e cercano, mai paghi, nel fondo marino una pietruzza, | una conchiglia … una cosa che non sia | consueta.» (da “Bimbi al mare”). Come i bimbi, mai soddisfatti, anche l’uomo è alla costante ricerca della sua «essenza».

Ora le azioni, i sentimenti, i pensieri, la fatica che animano la vita del pescatore dalla «pelle come quella | di storione dissalato» che «teneva tra le rughe del suo arpione | curvo sulla barca | il segreto del mare». (da “Il Pescatore”)

L’incantevole Scilla, che l’autrice dolcemente “accarezza” e custodisce nel suo cuore, è l’elemento quasi costante dell’ispirazione di questa prima sezione di liriche.
Suggestive e realistiche le immagini che la connotano in:

Il mio paese
Cala di mare,
stordita alla luce;
gente che passa
ubriaca di sole;
sogni di grandezza,
liberazione di una schiavitù,
alimentati da profumo
salmastro di mare.
Felicità riposta
in risacca stagnante
fra sassi iridescenti.
Scirocco che spazza impetuoso
le stille d’amore
dei figli lontani.
Tu resti,
cala di mare,
stordita di luce.

Gli affetti familiari “prorompono” con dolcezza nella lirica “A mio padre”. Così l’autrice dice di lui: «era come il vetro terso … e mi specchiavo». Per lei il padre era “sicurezza”, “dolcezza”, “pazienza”, “mitezza”, “giustizia”, “onestà”, “gaiezza”: qualità e valori che l’autrice fece propri nel suo agire quotidiano. Ne troviamo conferma in questi versi:

Se ne andò come visse,
sorridendo in silenzio,
stringendomi la mano
quasi a dirmi:
“ho fatto testamento con la mia vita,
te la consegno a esempio”.

E ancora: “Quando non sarò più …
non avere paura. Abbi fede”.
E la fede l’ha sempre sorretta, anche nei momenti tristi della sua esistenza.

Non meno importante è l’affetto per la madre, come palesa la lirica:

Vai da una madre
Vai da una madre
per conoscere una gioia intensa.
Vai da una madre
per scoprire il dolore.
Vai da una madre
per apprendere delle attese il senso,
e da una madre vai
per vivere le speranze.
Soltanto lei, la madre,
vive sentimenti,
fatica di espressione
e questi,
hanno misura di infinito
nella attesa creativa
e nella fedeltà d’amore.

O l’amore per la nonna, la quale incarnava «l’amore caldo di maternità mai sopita». (da “Amore di madre”).

L’ispirazione della poesia “L’Emigrante”, nasce da un racconto tramandato all’autrice dalla sua bisnonna. “Nonna Maria”, emigrata in America dove visse per circa venti anni, ritornando a Scilla, suo paese natìo, baciò la terra, stringendosi al petto «le pietre, calde ancora dell’ultimo raggio di sole». A questo suo gesto risposero, suonando a festa, le campane. Nonna Maria rappresenta “l’emblema” di tutti gli emigranti costretti a lasciare la terra natìa, per cercare, altrove, migliori condizioni di vita. È bene ricordare che si trattava della Signora Maria Cosentino, nonna del nostro illustre concittadino cav. Giuseppe Piria, il quale ha sempre ricordato la nonna “ ’a mericana” con grande affetto per gli insegnamenti donatigli.

Nei versi «la mia piccola fiaba | era chiusa per sempre | ricca di gioia | pervasa di tristezza | logorata di attese», il ricordo nostalgico della sua giovinezza è espresso con toni che non sfiorano mai la disperazione, ma con la pacatezza di chi accetta il “cambio di rotta” della propria vita perché sostenuto dalla forte presenza di Dio e dalla preghiera costante. Così scrive:

Mi bastava abbandonarmi
alla sua volontà
cullandomi nelle acque profonde
della preghiera sempre nota
e sempre varia.
                                                       (da “Cambio di rotta”)

La lirica “Ricordi”, che riportiamo integralmente, chiude questa prima Sezione.

Ricordi
Tuffarsi nel passato
e riscoprire fragranze di luce.
Era informe allora
lo scintillio delle cose usuali.
Dissonanze e melodie
l’intelletto non apprezzava;
note profonde nel sottofondo
che raramente raggiungono l’orecchio;
oggi chiare e brillanti
e tempo non è
di assaporare dolcezze.
È un tempo andato.
Il ricordo resta
soltanto a me.
Non si ha il diritto
di disturbare il presente

degli altri.

La sezione “Stati d’animo” raccoglie le liriche che l’autrice scrive, forse, negli ultimi anni della sua vita, quando, andando a ritroso nel tempo, si accorge che la giovinezza non c’è più: nulla, però, è cambiato, perché i valori sono radicati in lei come «roccia» e «non conoscono stagioni».


CHE COSA VOGLIO
Che cosa voglio?
niente.
Il tempo mio è passato,
non me ne sono accorta.

Mi sveglio come da un lungo sonno
e non ho più la giovinezza.
Il sogno resta,
è lo stesso;
il tempo per il pensiero non passa
e i valori sono roccia,
semi d’infinito,
non conoscono stagioni.

Nulla è cambiato.
L’amore che ho ricevuto tanto
e che nel poco ho dato
è luce
che abbaglia gli occhi miei;
è giovinezza e vita.

Il mare mi guarda,
limitato all’orizzonte
dalla curva del cielo che lo bacia,
sempre lo stesso.
È quello che vidi
dal mio balcone aperto.

La solitudine, la malattia, il dolore, trovano sempre conforto nella «silente» preghiera e nella fiduciosa speranza «riposta in Dio creatore». Ciò che l’autrice esprime non sfocia mai nell’angoscia o nella cupa disperazione poiché, per lei, la speranza ha un orizzonte ampio e luminoso, la fede è «certezza», la carità è un «canto» di lode e di ringraziamento a Dio.


MATTINI DI LUCE
Ci sono mattini di sole
e ci sono mattini di pioggia,
ma è importante siano tutti
mattini di luce.
Può essere giorno pieno,
ma la caligine è intensa
per chi non apre il cuore
come corolla di fiore
baciata da fresca rugiada.
Ed è popolata di ombre la casa;
triste e pesante il lavoro.
Come formica accumula in granai le scorte;
il cammino è arduo e piove.
La pioggia s’incanta e si ferma
Nei fossi delle strade,
acqua stagnante in distesa di sole.
Ma il cuore non sente il lieve ticchettio
della goccia. È musica
per chi ha certezza del momento
è gioia piena anche se la mensa
è vuota. Sa che non resterà così.
Il tutto gli appartiene
in un raggio perenne di luce.

QUIETE
Fuori è una pioggerella fine fine
che ha paura di battere sui vetri.
Cade lenta, leggera,
ad ammansire il vento
e il vento si è placato
e placata si è pur l’anima mia.
Non aspetta più nulla,
tace soltanto
e non sa se fa bufera o piove;
partecipa ad un mondo
che non ha più valore,
muta,
non si sa orientare,
non sente suono,
si direbbe che è in quiete
aggomitolata in un angolo
per non carpire spazio.

È come le cose pure
luce soltanto,
e vede
e sente, in Dio.

UOMO
Uomo testardo e stanco
saturo di potenza,
accecato dalla superbia dell’essere;
passioni violente,
scosse
in sarabanda di sentimenti;
immagini create
ora divelte come alberi stroncati,
ora riemerso come canne lacustri
lungo un fiume in piena.
T’adagi al primo sole
come lucertola sui muri scoscesi,
scompari nel buio
di fessura crepata da calcinacci rotti.
Ti dimeni, ti dibatti
come il fantoccio del bambino
mosso da molla saettante
sulla scatola
di cartone variopinta.
Ma,
resti sempre
sorriso di Dio che ti ha creato
e ti ama da quando avesti forma.

ESSERE SOLI
Percepire la roccia che sgretola,
l’appoggio, lo spigolo dove fermare il gancio
non c’è più.
La roccia divenuta cristallina
rifrange la luce
non incorpora nulla:
è luce essa stessa
perché riflette
l’amore di Dio.
Ed è soltanto speranza.


LO SCOGLIO
La solitudine è pesante;
è uno scoglio
con cui bisogna convivere.
Ne accarezzi gli anfratti,
le crepe portano
a ricordi lontani.
Avevi tanta paura,
eppure c’era in te
tanto bisogno di vita.
Le asperità ti graffiarono
le mani:
ti ricordano degli incontri con Dio,
nel dolore lo cercavi.
Era con te
e non te ne accorgevi.
Adesso lo hai davanti
il tuo Dio.
Fra poco lo incontrerai;
ed hai paura,
la stessa paura di allora,
di sempre ……
Ti pare di non aver fatto nulla.

Della tua vita
non resta più nulla.
La solitudine è sommersa
dal suo amore.
Devi spettare,
c’è qualche cosa
da compiere ancora in silenzio
sempre nel tuo silenzio.
Lo scoglio non c’è.
È l’amore per tutti
che hai davanti
per quanti ti amano
e non lo vedi;
ma tu lo ami di più.
L’amore non ha misura
perché frutto di infinito,
l’amore è il riflesso
di Dio sulle cose del mondo.
È la lice di Dio
che vivi nell’assoluto
silenzio della solitudine
che senti ma non è.

IL DOLORE DELL’ANIMA
Angoscia nascosta nel cuore,
non ha connotazioni, né limiti,
né orientamento, né pausa, né misura;
è un tutt’uno fra il corpo
e lo spirituale.
La fuga non è possibile.
Non è paura.
È una sensazione strana
di nulla e di tutto.
È miseria
che provi nel suo squallore.
È un grigiore senza uscita.
Non è ancora morire,
perché morire è speranza
ed è certezza di potenza in Dio;
morire è annientamento
di ogni possibilità terrena.
La soluzione sta soltanto
nella silente preghiera.

E FUMMO SOLI
E fummo soli,
ricchi di gravami di attese,
di dubbi, di incertezze.
Restava in noi una ricchezza sepolta
che nessun tarlo poteva rodere:
la certezza di Dio.
Popoli di stelle
davano luce intensa
al vuoto della notte.

VAI
Ci sono attese senza fine
e deserti che devono essere attraversati;
senti che è l’ora
di ferrare il cavallo e di partire
verso mete sconosciute,
verso speranze misteriose,
verso terre dove il sole
non declina mai.
Sul tuo cammino non v’è
né strada, né orma.
Vai.
Una forza ti guida e non conosci mèta.
Sanguina l’albero
a cui vien tolta l’ultima foglia.


SILENZIO
Il silenzio è una pausa
che dimensiona la sinfonia
di una giornata.
È silenzio
Quando diviene ascolto,
allora,
è Dio che parla.

Le note hanno tutte
Le tonalità alte dell’amore.

MANI TESE
Le mani si congiungono
in preghiera e
l’atmosfera si impregna
di mistero.
È buio nella notte;
le mani si innalzano
verso il cielo,
le palme si protendono
verso l’alto:
sono intrise
della rugiada del cuore
e l’atmosfera si fa luce
perché ascolta
la preghiera di Dio.
La preghiera diventa canto,
l’aurora che sorge
disperde la notte.
Resta la gioia
dell’infinito.

LA SCOPERTA DI DIO
Pregare senza fermarsi mai;
amare senza domandarsi perché;
agire come se tutto dipendesse da te;
crescere nel senso di sfoltire
e arrivare a forme semplici,
sempre più semplici,
fino a scoprire Dio.

 INCONTRO CON DIO
Arcana verità
che avvolgi la mia vita
senza che me ne renda conto.
Conoscenza viva dell’intelletto
che non trova spiegazione.
Infinito nel finito che incessantemente ti cerca.

Ti ritrovo,
nello sconvolgente miracolo
del perfetto invisibile;
ti sento
nella sordità dei silenzi;
sfolgori d’immenso
quando più non ti credo;
ti ascolto e sei mia forza
quando in me
sembra scomparsa la speranza.

POETARE
Poetando nel cuore e nella mente
se ne va il mio giorno,
ricco di grazie e di dolore pieno,
ricchezza d’infinito,
mentre l’amore mi sovrasta.
Balbettando esprimo i miei pensieri,
nel cuore gorgheggia la mia prece;
la speranza è la luce,
la fede è la certezza,
al suono di un’orchestra,
la carità e l’armonia
di un canto che sorge
dall’amore verso Dio.
La preghiera così
non ha parole,
è una melodia di grazie
che sorge e
si inabissa nell’amore.

PREGHIERA
Signore,
devo scrivere il mio testamento
e vorrei riuscire a esprimere
l’amore.
L’amore per cui sono nata;
l’amore che mi è stato donato;
l’amore per cui sono vissuta.
L’espressione è limitata,
il cuore è piccolo
nel suo contenuto anatomico,
la mente è dispersiva e inadeguata.
Signore,
prendilo tu,
è finalizzato a te.
Fai che la mia vita,
dispersa nell’oceano della tua grandezza,
abbia saputo scrivere
con l’inchiostro indelebile
della riconoscenza
la profondità dell’amore
che mi hai richiesto
nella risposta umile
del dono della vita.
Grazie o Gesù.
Fai che questo grazie
nato con me
si ripeta per l’eternità
e che io,
libera dagli artefatto umani,
possa finalmente immergermi
nell’immensità

del tuo Amore.

a cura di Domenica Cotroneo e Franca Sanni